Angioedema ereditario. Renata: “Non giudicatemi per la mia malattia”
- Autore: Emanuele Conti
-
Ha 36 anni e vive in Brasile. La diagnosi a 5 anni
Renata Martins è una ragazza brasiliana di 36 anni ed è affetta da angioedema ereditario (HAE). Da quando era bambina, affronta questa rara malattia lottando contro numerose difficoltà e cercando di condurre una vita normale. Raccontando la propria esperienza ad HAE International(HAEi), la giovane spiega il suo punto di vista sulla patologia con queste parole: “Non voglio essere giudicata da nessuno per il fatto che ho l'HAE. Non mi sento migliore o peggiore di nessun altro e, di certo, non a causa della mia condizione medica”.
“L'angioedema ereditario mi è stato diagnosticato a 5 anni, quando ho avuto il mio primo attacco di gonfiore”, ricorda Renata. “Mia madre ha scoperto di avere questa malattia 10 anni prima, quando era già incinta di me. Ha dovuto affrontare molti problemi prima di ricevere una diagnosi, subendo diversi interventi chirurgici e passando anni di sofferenze. Quando è stata diagnosticata non c'erano medicine a disposizione, ma almeno ha potuto sapere che tipo di malattia avesse. Io mi considero fortunata per la sua diagnosi, perché così non ho dovuto affrontare le problematiche legate alla scoperta dell'HAE”.
Come descriveresti i tuoi anni di scuola?
“Ho avuto una vita scolastica abbastanza normale. A quel tempo non comprendevo la mia malattia, ma non avevo molti problemi, dato che i miei attacchi colpivano principalmente mani e piedi. Mia madre mi ha sempre detto di andare a scuola e fare le cose che facevano tutti gli altri: in questo senso, non mi sono mai ritenuta diversa dai miei coetanei”.
“I miei compagni di scuola non prestavano attenzione alla malattia, perché io ero molto discreta. Tuttavia, c'era un insegnante che non credeva fossi malata e sfruttava ogni occasione per dire che non avevo niente e che facevo solo capricci. A scuola, soltanto un paio di persone sapevano che avevo l'HAE, perché non parlavo di questa mia condizione. Normalmente, spiegavo che si trattava di una reazione allergica. Andavo spesso in ospedale per prendere antidolorifici, ma a scuola non dicevo nulla. In realtà, ho vissuto con l'HAE praticamente da sola, senza che nessuno sapesse niente, ad eccezione di mia madre, naturalmente. Anche una mia zia e un mio cugino hanno l'HAE, ma non soffrono di frequenti attacchi e non prendono nessun farmaco”.
Col passare del tempo, com'è cambiata la situazione?
“Quando ero adolescente ho avuto diversi attacchi addominali. A volte dovevo saltare la scuola, ma ero una brava studentessa, quindi non avevo particolari problemi. E' stato molto peggio quando volevo viaggiare con i miei amici, perché mia madre non me lo permetteva. Era preoccupata del fatto che, se avessi avuto un attacco, non avrebbe potuto aiutarmi. A quel tempo non c'erano farmaci che potessi prendere e spesso provavo rabbia perché la malattia mi impediva non solo di fare viaggi, ma anche di partecipare a scambi culturali o di praticare sport”.
In questo momento, stai facendo qualche attività sportiva?
“Fino a 22 anni ho giocato a pallavolo a scuola e all'università, e lo facevo anche quando avevo edemi non troppo duri da sopportare. Oggi pratico jogging e corro: i miei piedi si gonfiano sempre, ma io continuo ad allenarmi. Mi prendo cura di me stessa, ma non smetto di fare quello che mi piace a causa dell'HAE”.
“Nonostante le sfide quotidiane legate alla malattia, sono felice della mia vita”, spiega Renata. “Mi sforzo di non farmi angustiare dai sintomi e di fare in modo che questi non interferiscano con la mia normale routine. Ovviamente, talvolta può capitare che l'HAE mi impedisca di fare ciò che voglio, soprattutto a causa della preoccupazione di un eventuale attacco”.
Quindi, in generale, sei soddisfatta della tua vita. Durante il periodo degli studi ti sentivi altrettanto bene?
“Sì, direi di sì. Durante i miei anni all'università sono stata sempre molto forte e i gonfiori non mi turbavano troppo, tranne quando si presentavano all'addome o al viso. La mia preoccupazione più grande era legata alla possibilità che gli attacchi arrivassero in occasione delle feste con i miei amici. Non ho dovuto affrontare molti problemi durante i miei anni di studio. Senza dubbio, il momento peggiore è stato a 15 anni, quando sono andata a New York con mia madre. Ho avuto una crisi addominale e sono finita in ospedale. Il medico credeva che si trattasse di una gravidanza extrauterina e, quando gli ho spiegato la mia situazione, non mi ha creduto e mi ha sottoposto ad esami imbarazzanti solo perché non sapeva nulla dell'HAE”.
E la tua vita lavorativa?
“Oggi insegno presso la mia vecchia università. Il lavoro è l'ambito in cui l'HAE mi crea maggiori problemi perché, come insegnante, non posso mancare alle lezioni. Ogni volta che ho avuto gonfiori alle mani ho cercato di tenere nascosta la cosa, oppure ho spiegato che era a causa di un'allergia, pregando di non avere attacchi al viso. In realtà, il problema non sono gli studenti, ma il mio capo e i miei colleghi, che spesso non mi credono perché non conoscono l'HAE e perché la malattia può causare sintomi dolorosi ma non visibili. C'è già qualche pregiudizio nei miei confronti, perché sono una giovane donna che dà lezioni a studenti di ingegneria. Non voglio che, a causa dell'HAE, le persone credano che io sia debole o incapace di lavorare come insegnante. Mi comporto con discrezione e non parlo della malattia, anche quando i miei colleghi mi fanno domande”.
Recentemente, sei stata in Europa per alcuni mesi. Come ti sei sentita all'idea di allontanarti da casa per un lungo periodo?
“Come già accennato, in passato l'HAE mi ha impedito di viaggiare, ma ho deciso che non sarebbe più stato così. Mia madre era in ansia a causa del fatto che volevo andare in Olanda, ma alla fine sono partita ugualmente. Non lascerò che la malattia abbia la meglio su di me”.
Il viaggio è andato bene?
“Assolutamente sì. Ho portato con me due tipi di farmaco, un antagonista del recettore della bradichinina per il trattamento degli attacchi acuti e un ormone steroideo per la prevenzione. Le medicine non mi hanno impedito di avere attacchi a mani e piedi, ma non mi sono preoccupata più di tanto. In Europa, ho avuto un forte attacco addominale. Ho cercato di resistere e di non prendere il farmaco che avevo, perché a quel tempo ero ancora a metà del mio soggiorno. Tuttavia, il dolore è aumentato a tal punto che, alla fine, non ho potuto fare a meno di utilizzare la medicina”.
“In Brasile è molto difficile trovare un trattamento adeguato, principalmente a causa della mancanza di conoscenza dell'HAE da parte dei medici e di un insufficiente accesso ai farmaci. Immaginate cosa significasse trovarmi da sola in un altro Paese, con l'enorme problema di dover comunicare in una lingua straniera. Tuttavia, ho deciso che non avrei rinunciato al mio viaggio. Prima di partire, ho sentito diversi pazienti affetti da HAE e ho contattato l'organizzazione olandese che si occupa di questa malattia, ricevendo molte preziose informazioni relative ad ospedali, medici e procedure da seguire. Tutto ciò mi ha dato grande sollievo, ma ero ancora un po' preoccupata dei problemi legati ad eventuali attacchi. Alla fine è andato tutto bene, fondamentalmente perché il mio coraggio è stato più forte dell'HAE”.
Come descriveresti l'esperienza con i medici del tuo Paese?
“La descriverei sia buona che cattiva. In generale, non molti medici brasiliani conoscono l'HAE e, naturalmente, questo aspetto comporta molte difficoltà. All'inizio del 2013, ho dovuto subire un intervento chirurgico per calcoli biliari. Alcuni dottori, quando sono venuti a conoscenza della mia diagnosi, si sono rifiutati di eseguire l'operazione. Alla fine, ho trovato un chirurgo che ha dato la sua disponibilità. In Brasile, per gli attacchi acuti di edema viene utilizzato un antagonista del recettore della bradichinina e, dopo grandi ostacoli burocratici, sono riuscita ad ottenere il farmaco prima dell'operazione. Ho dato questo medicinale al chirurgo, il quale, non conoscendolo, ha invece deciso di somministrarmi plasma fresco. Dopo l'intervento sono dovuta rimanere per molto tempo nel reparto di terapia intensiva. Una volta, mentre mi lamentavo a causa dei dolori, il medico di turno mi ha detto che si trattava di un semplice intervento chirurgico e che avrei dovuto sopportarne le conseguenze, accusandomi di occupare un posto utile a pazienti più gravi di me. Sono stata così male che quando mia madre è venuta a trovarmi, l'ho pregata di parlare col mio medico per farmi dimettere. In quell'occasione, avrei avuto davvero bisogno di un dottore che mi avesse creduto”.
“Nonostante altri episodi simili, sono rimasta una persona ottimista e ho imparato a convivere con l'HAE. Mi aiuta molto sapere che non sono sola, che ci sono altre persone che, in tutto il mondo, affrontano i miei stessi problemi. Questo mi è di grande conforto. Ho trovato tanti amici che mi capiscono e sanno come mi sento. Durante i periodi difficili, sono loro ad aiutarmi”.
In che modo gestisci l'HAE oggi?
“Prendo steroidi ogni giorno, che hanno effetti collaterali piuttosto forti. Quando devo andare in ospedale a causa di un attacco, i sintomi vengono trattati con ulteriori farmaci. Una nuova terapia, recentemente approvata, è diventata disponibile anche in Brasile e, in alcune occasioni, ho potuto prenderla anch'io. Purtroppo, questofarmaco è costoso e molto difficile da ottenere a causa della burocrazia. In Brasile, i pazienti affetti da HAE sono costretti ad affrontare grandi sfide a causa della mancanza di servizi medici specializzati, di opzioni terapeutiche e di risorse generali”.
“Vivere con una malattia rara e non avere sempre accesso ai trattamenti più efficaci può farti sentire abbandonato. A me è di grande aiuto avere vicino parenti stretti e amici, ma anche collaborare con ABRANGHE, l'organizzazione brasiliana che si occupa di HAE. Il supporto è fondamentale per abbattere le barriere emotive, sociali e politiche che i pazienti con angioedema ereditario devono subire e, inoltre, ci aiuta a sopportare meglio i sintomi della malattia, come i dolori, le nausee e gli edemi”.
Pensi mai alla possibilità di diventare madre?
“Dato che mia nonna è morta a causa di un edema alla glottide e che io e mia madre abbiamo ereditato l'HAE, sono ovviamente molto preoccupata di trasmettere la malattia a mia volta. Spero che, quando avrò figli, saranno disponibili farmaci sicuri ed efficaci, in modo che tutti coloro che soffrono di HAE possano trascorrere una vita tranquilla”.
Per saperne di più visita la nostra sezione dedicata all’ANGIOEDEMA EREDITARIO.
Come descriveresti i tuoi anni di scuola?
“Ho avuto una vita scolastica abbastanza normale. A quel tempo non comprendevo la mia malattia, ma non avevo molti problemi, dato che i miei attacchi colpivano principalmente mani e piedi. Mia madre mi ha sempre detto di andare a scuola e fare le cose che facevano tutti gli altri: in questo senso, non mi sono mai ritenuta diversa dai miei coetanei”.
“I miei compagni di scuola non prestavano attenzione alla malattia, perché io ero molto discreta. Tuttavia, c'era un insegnante che non credeva fossi malata e sfruttava ogni occasione per dire che non avevo niente e che facevo solo capricci. A scuola, soltanto un paio di persone sapevano che avevo l'HAE, perché non parlavo di questa mia condizione. Normalmente, spiegavo che si trattava di una reazione allergica. Andavo spesso in ospedale per prendere antidolorifici, ma a scuola non dicevo nulla. In realtà, ho vissuto con l'HAE praticamente da sola, senza che nessuno sapesse niente, ad eccezione di mia madre, naturalmente. Anche una mia zia e un mio cugino hanno l'HAE, ma non soffrono di frequenti attacchi e non prendono nessun farmaco”.
Col passare del tempo, com'è cambiata la situazione?
“Quando ero adolescente ho avuto diversi attacchi addominali. A volte dovevo saltare la scuola, ma ero una brava studentessa, quindi non avevo particolari problemi. E' stato molto peggio quando volevo viaggiare con i miei amici, perché mia madre non me lo permetteva. Era preoccupata del fatto che, se avessi avuto un attacco, non avrebbe potuto aiutarmi. A quel tempo non c'erano farmaci che potessi prendere e spesso provavo rabbia perché la malattia mi impediva non solo di fare viaggi, ma anche di partecipare a scambi culturali o di praticare sport”.
In questo momento, stai facendo qualche attività sportiva?
“Fino a 22 anni ho giocato a pallavolo a scuola e all'università, e lo facevo anche quando avevo edemi non troppo duri da sopportare. Oggi pratico jogging e corro: i miei piedi si gonfiano sempre, ma io continuo ad allenarmi. Mi prendo cura di me stessa, ma non smetto di fare quello che mi piace a causa dell'HAE”.
“Nonostante le sfide quotidiane legate alla malattia, sono felice della mia vita”, spiega Renata. “Mi sforzo di non farmi angustiare dai sintomi e di fare in modo che questi non interferiscano con la mia normale routine. Ovviamente, talvolta può capitare che l'HAE mi impedisca di fare ciò che voglio, soprattutto a causa della preoccupazione di un eventuale attacco”.
Quindi, in generale, sei soddisfatta della tua vita. Durante il periodo degli studi ti sentivi altrettanto bene?
“Sì, direi di sì. Durante i miei anni all'università sono stata sempre molto forte e i gonfiori non mi turbavano troppo, tranne quando si presentavano all'addome o al viso. La mia preoccupazione più grande era legata alla possibilità che gli attacchi arrivassero in occasione delle feste con i miei amici. Non ho dovuto affrontare molti problemi durante i miei anni di studio. Senza dubbio, il momento peggiore è stato a 15 anni, quando sono andata a New York con mia madre. Ho avuto una crisi addominale e sono finita in ospedale. Il medico credeva che si trattasse di una gravidanza extrauterina e, quando gli ho spiegato la mia situazione, non mi ha creduto e mi ha sottoposto ad esami imbarazzanti solo perché non sapeva nulla dell'HAE”.
E la tua vita lavorativa?
“Oggi insegno presso la mia vecchia università. Il lavoro è l'ambito in cui l'HAE mi crea maggiori problemi perché, come insegnante, non posso mancare alle lezioni. Ogni volta che ho avuto gonfiori alle mani ho cercato di tenere nascosta la cosa, oppure ho spiegato che era a causa di un'allergia, pregando di non avere attacchi al viso. In realtà, il problema non sono gli studenti, ma il mio capo e i miei colleghi, che spesso non mi credono perché non conoscono l'HAE e perché la malattia può causare sintomi dolorosi ma non visibili. C'è già qualche pregiudizio nei miei confronti, perché sono una giovane donna che dà lezioni a studenti di ingegneria. Non voglio che, a causa dell'HAE, le persone credano che io sia debole o incapace di lavorare come insegnante. Mi comporto con discrezione e non parlo della malattia, anche quando i miei colleghi mi fanno domande”.
Recentemente, sei stata in Europa per alcuni mesi. Come ti sei sentita all'idea di allontanarti da casa per un lungo periodo?
“Come già accennato, in passato l'HAE mi ha impedito di viaggiare, ma ho deciso che non sarebbe più stato così. Mia madre era in ansia a causa del fatto che volevo andare in Olanda, ma alla fine sono partita ugualmente. Non lascerò che la malattia abbia la meglio su di me”.
Il viaggio è andato bene?
“Assolutamente sì. Ho portato con me due tipi di farmaco, un antagonista del recettore della bradichinina per il trattamento degli attacchi acuti e un ormone steroideo per la prevenzione. Le medicine non mi hanno impedito di avere attacchi a mani e piedi, ma non mi sono preoccupata più di tanto. In Europa, ho avuto un forte attacco addominale. Ho cercato di resistere e di non prendere il farmaco che avevo, perché a quel tempo ero ancora a metà del mio soggiorno. Tuttavia, il dolore è aumentato a tal punto che, alla fine, non ho potuto fare a meno di utilizzare la medicina”.
“In Brasile è molto difficile trovare un trattamento adeguato, principalmente a causa della mancanza di conoscenza dell'HAE da parte dei medici e di un insufficiente accesso ai farmaci. Immaginate cosa significasse trovarmi da sola in un altro Paese, con l'enorme problema di dover comunicare in una lingua straniera. Tuttavia, ho deciso che non avrei rinunciato al mio viaggio. Prima di partire, ho sentito diversi pazienti affetti da HAE e ho contattato l'organizzazione olandese che si occupa di questa malattia, ricevendo molte preziose informazioni relative ad ospedali, medici e procedure da seguire. Tutto ciò mi ha dato grande sollievo, ma ero ancora un po' preoccupata dei problemi legati ad eventuali attacchi. Alla fine è andato tutto bene, fondamentalmente perché il mio coraggio è stato più forte dell'HAE”.
Come descriveresti l'esperienza con i medici del tuo Paese?
“La descriverei sia buona che cattiva. In generale, non molti medici brasiliani conoscono l'HAE e, naturalmente, questo aspetto comporta molte difficoltà. All'inizio del 2013, ho dovuto subire un intervento chirurgico per calcoli biliari. Alcuni dottori, quando sono venuti a conoscenza della mia diagnosi, si sono rifiutati di eseguire l'operazione. Alla fine, ho trovato un chirurgo che ha dato la sua disponibilità. In Brasile, per gli attacchi acuti di edema viene utilizzato un antagonista del recettore della bradichinina e, dopo grandi ostacoli burocratici, sono riuscita ad ottenere il farmaco prima dell'operazione. Ho dato questo medicinale al chirurgo, il quale, non conoscendolo, ha invece deciso di somministrarmi plasma fresco. Dopo l'intervento sono dovuta rimanere per molto tempo nel reparto di terapia intensiva. Una volta, mentre mi lamentavo a causa dei dolori, il medico di turno mi ha detto che si trattava di un semplice intervento chirurgico e che avrei dovuto sopportarne le conseguenze, accusandomi di occupare un posto utile a pazienti più gravi di me. Sono stata così male che quando mia madre è venuta a trovarmi, l'ho pregata di parlare col mio medico per farmi dimettere. In quell'occasione, avrei avuto davvero bisogno di un dottore che mi avesse creduto”.
“Nonostante altri episodi simili, sono rimasta una persona ottimista e ho imparato a convivere con l'HAE. Mi aiuta molto sapere che non sono sola, che ci sono altre persone che, in tutto il mondo, affrontano i miei stessi problemi. Questo mi è di grande conforto. Ho trovato tanti amici che mi capiscono e sanno come mi sento. Durante i periodi difficili, sono loro ad aiutarmi”.
In che modo gestisci l'HAE oggi?
“Prendo steroidi ogni giorno, che hanno effetti collaterali piuttosto forti. Quando devo andare in ospedale a causa di un attacco, i sintomi vengono trattati con ulteriori farmaci. Una nuova terapia, recentemente approvata, è diventata disponibile anche in Brasile e, in alcune occasioni, ho potuto prenderla anch'io. Purtroppo, questofarmaco è costoso e molto difficile da ottenere a causa della burocrazia. In Brasile, i pazienti affetti da HAE sono costretti ad affrontare grandi sfide a causa della mancanza di servizi medici specializzati, di opzioni terapeutiche e di risorse generali”.
“Vivere con una malattia rara e non avere sempre accesso ai trattamenti più efficaci può farti sentire abbandonato. A me è di grande aiuto avere vicino parenti stretti e amici, ma anche collaborare con ABRANGHE, l'organizzazione brasiliana che si occupa di HAE. Il supporto è fondamentale per abbattere le barriere emotive, sociali e politiche che i pazienti con angioedema ereditario devono subire e, inoltre, ci aiuta a sopportare meglio i sintomi della malattia, come i dolori, le nausee e gli edemi”.
Pensi mai alla possibilità di diventare madre?
“Dato che mia nonna è morta a causa di un edema alla glottide e che io e mia madre abbiamo ereditato l'HAE, sono ovviamente molto preoccupata di trasmettere la malattia a mia volta. Spero che, quando avrò figli, saranno disponibili farmaci sicuri ed efficaci, in modo che tutti coloro che soffrono di HAE possano trascorrere una vita tranquilla”.
Per saperne di più visita la nostra sezione dedicata all’ANGIOEDEMA EREDITARIO.
Nenhum comentário:
Postar um comentário